Cahiers de Biotherapie - Numero 3 anno 2013

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Cahiers de Biotherapie:

In Principio era l’Azione
L’ADHD e lo sguardo singolare della psicoanalisi
di Massimo Saruggia

In principio era l’azione , dal Vangelo secondo Faust.
In tedesco Tat significa fatto, atto nel senso di atto compiuto o atto che inaugura
un.azione, come l.atto giudiziario o il calcio d.inizio di una partita di pallone. L.atto iniziale
ha valore simbolico. Avvia l.azione e ne prefigura il fine come l.atto di nascita o l.atto
sessuale. Anticipa il risultato implicito nelle premesse, è il progetto che apre. L.atto
differenzia le azioni dell.uomo da quelle degli altri viventi. Ci sono azioni che non
richiedono atti: sono le azioni naturali o meccaniche, non precedute o seguite da un atto.
Le azioni dell.uomo invece, in quanto tipicamente umane, sono precedute o seguite da un
atto. Sono esse stesse atto o catena di atti. All.inizio era l’atto significa dunque che l.atto
fissa l.azione dell.uomo. Sostenere al contrario, come intendo fare, che, nel bambino
iperattivo, in principio era l.azione mette in scena quella mancanza ad essere che nel suo
“teatro privato” permette al soggetto, con l.incessante avvicendarsi dei ruoli, di non
assumerne alcuno.
Questa premessa ci è utile per entrare nella grande casa dell.ADHD dalla porta di servizio,
assicurandoci tuttavia un approccio solido e definitivo, mentre al contrario le varie teorie
psichiatriche esplicative dell.ADHD sembrano mostrarci l’una i limiti dell’altra, senza fornire
una visione soddisfacente e definitiva. Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività è
infatti oggetto di notevoli controversie ed ha una storia lunga e interessante. Non vi è
infatti un ampio consenso riguardo al confine tra questo disturbo e la distraibilità o
l’iperattività adeguate all’età.
“Una malattia molto diffusa è la diagnosi”. Questo aforisma di Karl Kraus ci pare ancora, a
distanza di cento anni, pervasivo e suggestivo nel descrivere una tendenza diffusa nella
nostra società nella quale epidemiche rischiano di essere non le malattie ma le diagnosi.
Il DSM-IV° contiene infatti un elenco di 374 cosiddetti disturbi mentali, 262 in più rispetto a
quelli elencati nella prima edizione del 1952. Nell’elenco dei disturbi troviamo: il disturbo di
calcolo (315.1), la brutta calligrafia (315.2), il bere troppo caffè (305.90), l.incapacità di
dormire dopo aver bevuto troppo caffè (292.89), la timidezza (V. 62.81), il disturbo da jet
lag (308.45), l.aver piacere del fumo di tabacco (305.10) ma anche lo smettere di colpo di
fumare (292.0). L.J. Davis, nel suo Encyclopedia of Insanity, sottolinea come le diagnosi
psichiatriche rischiano di stigmatizzare e di trasformare in patologia la vita normale di ogni
giorno, creando la falsa impressione che le difficoltà di una persona o la sua incapacità a
far fronte alle cose gravose da sopportare siano una malattia nosologicamente definibile.
Sono al contrario numerosi gli autori che ancora oggi mettono in dubbio l’unicità dell.ADHD
(Clemens, Sechi, Holborow e Berry, Cantwell e Baker) e si preoccupano del fatto che
stabilire una soglia eccessivamente bassa possa causare una prevalenza artificialmente
alta del disturbo, con il risultato di avere bambini che hanno una diagnosi falsamente
positiva e che ricevono di conseguenza trattamenti non necessari e potenzialmente
pericolosi.
In ogni modo, osservato dal punto di vista fenomenologico, il disturbo dell’attenzione/
iperattività si riferisce ad una “patologia” evolutiva presente prima dei 5 anni, caratterizzata
da un comportamento motorio eccessivamente agitato o poco appropriato per raggiungere
uno scopo. Si tratta di bambini con livelli alti di attività, i quali si muovono troppo, non
possono stare fermi, sono irrequieti e spericolati, parlano incessantemente e sono troppo
curiosi. Il cosiddetto disturbo ADHD è molto più frequente nei maschi che nelle femmine
(con un rapporto da 4:1 sino a 9:1), la sua prevalenza è stimata dal 3 al 5% dei bambini in
età scolare. Il disturbo viene diagnosticato per la prima volta usualmente durante le scuole
elementari quando l.andamento scolastico appare compromesso. Tuttavia la maggior
parte dei genitori osserva una eccessiva attività motoria quando i bambini muovono i primi
passi. Il disturbo è relativamente stabile durante la prima adolescenza. Nella maggior
parte dei soggetti i sintomi si attenuano durante la tarda adolescenza e l’età adulta,
sebbene una minoranza mantenga i sintomi anche nell’età adulta. Le varie teorie
esplicative della sindrome sono insoddisfacenti. Le ipotesi delle lesioni cerebrali minime,
quella genetica e la congettura di un ipofunzionamento dei lobi frontali, per un anormale
funzionamento dopaminergico, non trovano un consenso unanime.
Tuttavia in parallelo a queste difficoltà esplicative non si consolida una riflessione sulla
possibilità che i fenomeni descritti nel grande quadro dell.ADHD possano essere
squisitamente non neurali. Infatti nel nostro tempo, nel trionfo dell’età della tecnica, “del
monoteismo tecnologico”, il disagio soggettivo non può essere tollerato se non
unicamente come malattia, in una civiltà – quella attuale tecnologica e tecnocratica – che
si pone come scopo e come fine una esasperata ideologia del benessere. La sofferenza
che invece inevitabilmente continua ad emergere deve essere eliminata, perlomeno
neutralizzata. La medicina è del resto sempre pronta a collaborare con il potere. Per il
discorso medico ogni sintomo, compreso il sintomo psichico, anche quando si configura
come una risorsa, resta comunque una insorgenza da eliminare oppure da spegnere e da
piegare a un adattamento più congruo e compiacente nei confronti degli ideali di salute e
di benessere egemoni in ogni civiltà. Quanto all.uso del sapere, l.atto medico, tra
tecnologia, tecnica e strategie d.intervento, fa del paziente l.oggetto di un sapere
specialistico e distante. La psicoanalisi, pur nascendo nell.ambito del discorso medico, è
l.inverso di questa logica. Diversa e addirittura opposta è l.accezione che questi discorsi
hanno sviluppato del concetto di sintomo e dell.esercizio del sapere. Per la psicoanalisi il
sintomo è sempre una risorsa del soggetto, è il suo tiranno ma è anche la sua identità.
Quindi l.idea di liberare il soggetto dal suo sintomo non solo è un abbaglio ma è addirittura
un esproprio. Solo lungo una sua esplorazione ed articolazione è possibile giungere a
modificare quella struttura psichica che gli ha causato la sofferenza ed il disagio. Quindi il
sintomo traccia in psicoanalisi il percorso che può consentire di giungere alla guarigione.
Guarigione come cambiamento che permette di rinunciare al versante più ottuso del
sintomo stesso, lungo la via di una differente formazione dell.inconscio, in una
ricomposizione dell.economia libidica.
Non avere fretta di curare i sintomi e rispettare il valore auto-protettivo ed auto-terapeutico
della patologia ci permette, sebbene questo sia spossante e rischioso, di cogliere la
complessa processualità del rapporto madre-bambino, dove il bambino è sostenuto dalla
madre in una posizione che tiene senza trattenere. L.Io del bambino dipende infatti da un
sistema molto complesso ed elaborato di adattamento al bisogno, un sistema fornitogli
dalla madre o dalla figura materna. A ciò si accompagna una attenzione speciale ai
meccanismi con cui il bambino emerge da uno stato di simbiosi con la madre, processo
che esige dalla madre una capacità di amare e di odiare. Secondo Winnicott sino circa ad
un anno, in modo approssimativo, il bambino quasi non ha esistenza, se non quando è
accudito e protetto in un ambiente adeguato, di solito chiamato ambiente materno o
madre. Se tutto si svolge mediamente bene allora il bambino può cominciare ad
interiorizzare le tecniche di proiettività dell.ambiente che lo contiene. Il processo continua
in modo silenzioso, portando il bambino alla capacità di fruire delle funzioni dell.Io innate
ed autonome. Questo processo è molto delicato e molte cose possono non andare
mediamente bene. Ci può essere una intimità eccessiva non solo con la madre, ma anche
una intimità proveniente dalla madre. Il bambino diventa destinatario, agito e non agente.
Questa intimità usurpa lo spazio privato del sé. Il bambino viene coinvolto così
precocemente in una richiesta di attenzione e di sollecitudine, rivoltagli dalla madre, che in
seguito egli non riesce a costruire con il mondo una vera intesa e partecipazione. Per lui
essere quieto potrebbe essere inquietante.
Il primo passo di ogni lavoro clinico con l’iperattività infantile è dunque quello di mostrare
quanto, dietro al paravento dell’iperattività, si celino questioni e domande che il bambino
pone all’Altro, a partire dal contesto familiare. In questo senso la diagnosi di ADHD non
esiste: dietro a questo termine si nasconde la domanda del soggetto ed, insieme, il
bisogno di insegnanti e genitori di “dare un senso” ad un comportamento enigmatico.
Iperattività e disturbo dell’attenzione sono fenomeni che si riferiscono alla categoria degli
”eccessi”: di movimento, di aggressività, di provocazione, di incapacità dell’uso del
linguaggio. Si tratta dunque di declinare questa dimensione dell’eccesso in funzione della
struttura soggettiva del bambino.
A) Eccesso di amore
L’atteggiamento del bambino può rappresentare la misura della sua esigenza di essere
amato dall’altro, la sua incapacità di tollerare la frustrazione della relazione d’amore e di
riconoscimento. Il bambino fatica ad accettare di spartire l’attenzione e l’amore dell’adulto
con gli altri e rivendica per sé uno statuto di eccezionalità e di superiorità. Egli riconosce la
dimensione della regola ma non vi si assoggetta. Spesso questo accade se il bambino è
preso nella rete del sintomo genitoriale. Si tratta sovente di famiglie monoparentali o con
coniugi separati nelle quali il bambino è posto in una posizione consolatoria rispetto alla
delusione affettiva.
B) Eccesso di corpo
Il sintomo iperattività si configura come un tentativo di soluzione quando il bambino si
trova confrontato con un.Altro non normato dalla legge e dalla regola. L’iperattività è una
difesa da un godimento in eccesso, che non trova un limite nella legge. Qui non è in gioco
una dialettica tra il soggetto e il desiderio dell’Altro, ma l’agitazione psicomotoria è
metonimica dell’assenza della legge. Sovente il padre è un uomo sregolato ed incapace di
significazione fallica.
C) Eccesso di domanda.
In questi casi l’agitazione psicomotoria testimonia un carattere di radicale chiusura del
soggetto nei confronti dell’Altro. Il bambino si mantiene in una posizione di rifiuto radicale
di dialogo e di confronto con il resto del mondo: agisce da padrone e non entra negli
scambi sociali. Il suo comportamento è di rifiuto totale verso il dialogo. Il bambino rovescia
la usuale logica per la quale è l’Altro ad avere la potenza e le decisioni; con il suo
comportamento fa in modo di porre la potenza sul suo lato, gettando l’Altro nell’angoscia.
Nelle sue varie forme dunque l’iperattività mette in scena una “mancanza ad essere” del
soggetto che al sintomo ricorre come tentativo di compromesso per non frantumarsi.
A noi è necessario un ascolto autentico e privo di intenti educativi per poter accogliere il
bambino non come un “oggetto” malfunzionante e da aggiustare, portato in visita dai
genitori, ma come soggetto che si sostiene su una identità rigida e monolitica che tuttavia
gli permette di declinare la propria soggettività in relazione all’Altro.
L.omeopatia in questa prospettiva può occuparsi di una materia della quale la scienza non
vuole e non può prendere atto: i sintomi sono infatti gli scarti del discorso scientifico che
mostrano invece in opera la soggettività irrinunciabile del malato.
Il discorso dell.omeopatia, al contrario, fa irrompere i grandi quadri delle tipologie sensibili,
assertivi ed imponenti, fatti di pochi tratti incisivi, concentrati sui volti e sui paesaggi
psichici. Allora la figura del “tipo omeopatico” come soggetto, come luogo e come
messaggio, diventa imperativa e domina chi la guarda. Osserviamola: è come una stella
nova che, pur essendo ridotta a piccole dimensioni, ha una massa enorme.
Bibliografia
Bistacchi P, Fabbro N: Il disturbo di attenzione e iperattività – in I Disturbi dello sviluppo –
Il Mulino Bologna 2002.
Cantwell P.D. & Baker L.: Association between ADHD and learning disorders. J.
Learning disorders 1991; 24, 2: 88-95.
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Contardi S.: L.anoressia intellettuale in Scibbolet Edizioni Otto/Novecento Milano 1997.
Cosmacini G. e Crisciani C. (a cura di) Medicina e Filosofia. Episteme Editrice Milano
1998
Davis L.J. – Encyclopedia of Insanity. Harpers Magazine 1997.
Holborow P.L. & Berry P.S.: Hyperactivity and learning difficulties. J. Learning Disabilities
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Khan M: Lo spazio privato del Se, Bollati Boringhieri, Torino1991.
Mazzotti M. Prospettive di psicoanalisi lacaniana. Borla Roma 2009
Recalcati M. L.Uomo senza inconscio, Raffaello Cortina Editore Milano, 2010
Sechi E., Capozzi F., Vasques P., Levi G.: ADHD and learning disorder: neurocognitive
profiles. Relazione al XIII Congresso IACAPAP, San Francisco (Ca), 1994
Todorov T. Teorie del simbolo. Garzanti Milano 2008
Winnicott D.W.: “Piggle” una bambina,, Bollati Boringhieri Torino, 1989.

Cahiers de Biotherapie:

Immunologia dell’intestino e la sindrome LGS
di Rocco Carbone

Generalità
L’organismo umano ha sviluppato un efficace sistema verso agenti aggressori infettivi e sostanze tossiche, attraverso la formazione di anti-corpi umorali o lo sviluppo di immunità cellulare.
Dallo studio dei meccanismi molecolari si rileva che l’organismo è capace di distinguere le sostanze proprie (self) da sostanze non-proprie (non-self) e, attraverso l’attivazione del Sistema Immunitario, si può produrre un’enorme varietà di cellule e molecole in grado di riconoscere ed eliminare un’infinità di agenti invasori.
All’interno del Sistema Immunitario vengono distinte due unità funzionali:
L’Immunità congenita: è la resistenza di base alle malattie acquisita con la nascita; rappresenta una prima linea di difesa. Essa include una serie di barriere difensive ad infezioni ed aggressioni esterne: la pelle, le mucose e la temperatura corporea.
L’Immunità acquisita: denominata pure Immunità specifica, mette in atto una reazione specifica nei confronti di ciascun agente infettivo che viene poi “memorizzata” dal Sistema Immunitario, attraverso la formazione di anticorpi.
La risposta immunitaria acquisita viene attivata quando il Sistema immunitario congenito non riesce a debellare un agente patogeno. Il riconoscimento di agenti avversi avviene ad opera dei linfociti, mentre l’azione di difesa e neutralizzazione del patogeno avviene sia tramite i linfociti e sia tramite altre cellule specializzate come i macrofagi e le cellule neutrofile.
Il Sistema Immunitario svolge le sue azioni difensive attraverso una serie di mediatori che intervengono nei processi allergici, essi sono: i globuli bianchi, le interleuchine, le proteine del Complemento e l’interferone che fungono da anticorpi, mentre batteri, virus e tossine costituiscono gli antigeni.
I globuli bianchi sono le cellule che hanno propriamente il compito di difendere l’organismo dalle infezioni. Si dividono in tre categorie:
1. monociti, che al momento dell’infezione diventano macrofagi;
2. granulociti, a loro volta divisi in neutrofili, acidofili e basofili;
3. linfociti, a loro volta divisi in linfociti T e B.

I linfociti T si dividono in tre gruppi:
I linfociti T citotossici sono i responsabili dell’immunità cellulare. Utilizzando il riconoscimento della proteina MHC , essi riconoscono una cellula self da una non-self. In quest’ultimo caso, attraversano la membrana cellulare con una proteina, detta perforina, causandone la lisi (rottura) e quindi la morte.
I linfociti T helper (Th1 e Th2) sono importantissimi, poiché attirano e attivano gli altri tipi di linfociti. Viaggiano a stretto contatto con i macrofagi. I linfociti T helper quando sono attivati secernono delle proteine chiamate linfochine che presentano recettori specifici verso la membrana delle cellule bersaglio. Esistono diversi tipi di linfochine, di cui, la famiglia più importante è rappresentata dalle interleuchine, che stimolano la crescita delle cellule T e la produzione di anticorpi da parte dei linfociti B. Le linfochine vengono attivate durante alcune reazioni di ipersensibilità dell’organismo. I macrofagi dopo aver fagocitato un agente estraneo (cellula, batterio, virus, tossine, ecc.), espongono nella proteina MHC un frammento di tale agente; in seguito a tale presenza si attiva la produzione di una proteina detta interleuchina 1, la quale, attira il linfocita T helper e gli trasmette l’informazione sul tipo di cellula estranea penetrata nell’organismo. Il linfocita T helper, in seguito a questa informazione produce due sostanze: l’interleuchina 2 e l’interleuchina 4, che stimolano la riproduzione rispettivamente dei linfociti T citotossici e dei linfociti B.
I linfociti natural killer (NK) hanno funzione analoga ai linfociti T citotossici, ma non utilizzano il riconoscimento dell’MHC.
Il ruolo “attivo” della difesa specifica è quindi svolto dai linfociti T citotossici, dai linfociti NK e dagli anticorpi.

Le interleuchine sono specifiche sostanze di natura proteica secrete da cellule del sistema immunitario durante la risposta immunitaria: linfociti, cellule NK, fagociti, cellule dendritiche.

Gli anticorpi o immunoglobuline sono delle proteine specifiche per ogni antigene con una peculiare struttura quaternaria che le conferisce una forma a “Y”. Gli anticorpi hanno la funzione, nell’ambito del sistema immunitario, di neutralizzare corpi estranei come virus e batteri, riconoscendo ogni determinante antigenico o epitopo legato al corpo come un bersaglio. In maniera schematica e semplificata si può dire che ciò avviene perché al termine dei bracci della “Y” (v. figura struttura degli anticorpi) vi è una struttura in grado di “chiudere” i segmenti del corpo da riconoscere. Ogni chiusura ha una chiave diversa, costituita dal proprio determinante antigenico; quando la “chiave”
(l’antigene) è inserita, l’anticorpo si attiva. Dal punto di vista funzionale sono distinguibili due componenti fondamentali:
a) una regione costante (C), che media l’interazione dell’anticorpo con il complemento o con cellule dell’ immunità innata;
b) una regione variabile (V), che contiene il sito di combinazione con l’antigene e che è quindi variabile a seconda della specificità dell’anti-corpo per un dato antigene.
Le Immunoglobuline (Ig) sono glicoproteine presenti nel sangue e nei fluidi dei tessuti, costituite da due catene pesanti (H, dall’inglese “heavy”), di circa 400 aminoacidi, e da due leggere (L, dall’inglese “light”), di circa 200 aminoacidi, tenute insieme da legami chimici.
Le immunoglobuline umane sono suddivise in 5 classi principali, in funzione della classe di catene H, che sono rispettivamente alfa, delta, epsilon, gamma e mu. Sono elencate in ordine decrescente di concentrazione serica: IgA, IgD, IgE, IgG, IgM.

IgA: costituiscono circa il 20% delle immunoglobuline seriche (e ben il 60-70% delle totali) e sono presenti principalmente nelle secrezioni esterne, quali saliva, colostro, lacrime, muco delle vie respiratorie e del tubo digerente.
Le IgA rappresentano un importante mezzo di difesa contro le infezioni locali; stimolano la reazione del complemento solo attraverso una via di attivazione alternativa e intervengono nella risposta immunitaria secondaria.
IgD: rappresentano lo 0,2% delle immunoglobuline circolanti. Sono presenti sulla membrana cellulare dei linfociti B dove, legato l’antigene verso cui sono specifiche, inducono l’attivazione della cellula a proliferare, maturare a plasmacellula e a produrre, in forma solubile, anticorpi in grado di riconoscere gli stessi antigeni della Ig di membrana.
IgE: sono presenti nel siero in concentrazione bassissima, inducono la liberazione da parte delle stesse cellule dei mediatori responsabili delle reazioni allergiche di tipo I.
IgG: sono la classe di anticorpi maggiormente presenti nel siero, rappresentando circa il 75% delle immunoglobuline circolanti.
Attraversano la barriera placentare e, quindi, si trovano a concentrazione elevata già alla nascita, conferendo al neonato una certa protezione durante i primi mesi di vita.
IgM: costituiscono circa il 5-10% delle Ig totali. Le IgM costituiscono la classe di anticorpi che vengono sviluppati al primo contatto con un nuovo antigene e sono quindi parte della risposta immunitaria primaria. Stimolano la reazione del complemento e non passano la barriera pla-centare.

Il Complesso Maggiore di Istocompatibilità o Major Histocompatibility Complex (MHC).
Ogni cellula del corpo umano ha sulla sua superficie una proteina chiamata MHC (complesso maggiore di istocompatibilità), differente da organismo a organismo. Esso è, in pratica, un sistema di controllo per distinguere le proprie cellule (self) dalle cellule estranee (non-self). Se vi è una modifica nel materiale genetico di una cellula (a seguito di un’infezione virale o nel caso di una cellula tumorale) l’MHC prodotto non sarà quello originale ma avrà dei difetti; questa cellula, pertanto, viene classificata come “agente estraneo” dal sistema immunitario e viene distrutto. Esistono due tipi di MHC:
? MHC di classe I, presente in tutte le cellule;
? MHC di classe II, presente solo sulla superficie dei macrofagi, dei linfociti B e di alcune cellule linfatiche (ad esempio nel timo).

Gli interferoni (IFN) sono una classe di proteine prodotte dalle cellule del sistema immunitario (globuli bianchi, fibroblasti) in risposta all’attacco di agenti esterni come virus, batteri, parassiti e cellule tumorali. Gli interferoni appartengono alla vasta classe di glicoproteine note come cito-chine.
La loro funzione specifica è quella di:
1. inibire la replicazione di virus all’interno delle cellule infette;
2. impedire la diffusione virale ad altre cellule;
3. rafforzare l’attività delle cellule preposte alle difese immunitarie, come i linfociti T e i macrofagi;
4. inibire la crescita di alcune cellule tumorali.
Esistono due tipi di interferoni il Tipo I [INF alfa (a) e INF beta (ß)] e il Tipo II [INF gamma (?)]; agiscono legandosi alla membrana delle cellule e stimolando la produzione di enzimi antivirali. Quando un virus attacca una cellula attivata dall’interferone, non riesce a moltiplicarsi a causa degli enzimi antivirali e si verifica quindi un arresto o un’attenuazione dell’infezione.

Cenni di anatomia del sistema immunitario
Gli organi del sistema immunitario si distinguono in primari e secondari:

1) gli organi primari sono la sede di origine delle cellule del sistema immunitario (nell’uomo midollo osseo e timo). Si sottolinea che negli organi primari si trovano i veri precursori delle cellule T e B, ovvero quelle cellule in cui il DNA si trova in configurazione germinale, stato in cui non è ancora avvenuta la disposizione e la forma dei geni delle immunoglobuline o del recettore dei linfociti T.

2) gli organi secondari sono i linfonodi, la milza, le placche del Peyer.
Il sistema immunitario è costituito da un eterogeneo insieme di popolazioni cellulari anatomicamente e/o funzionalmente interdipendenti, che hanno il compito di assicurare il riconoscimento dell’antigene e la sua inattivazione. L’antigene viene riconosciuto dalle cellule dotate di specifico recettore, le cellule dell’immunità specifica, cioè i linfociti B e linfociti T.

Linfonodi
Il linfonodo ha una forma di fagiolo, con grandezza di alcuni millimetri e si può suddividere in tre zone:
1) zona corticale o corteccia (timo-indipen-dente, dove sono presenti i linfociti B, a li-vello dei follicoli);
2) zona paracorticale, dove si trovano le cellule T;
3) zona midollare, situata a livello centrale, dove si trovano linfociti T attivati e plasmacellule.
Il linfonodo è una delle sedi in cui avviene l’incontro tra i linfociti vergini e gli antigeni. I linfociti T e B giungono al linfonodo tramite i vasi linfatici afferenti, e si vanno a collocare, rispettivamente, nell’area para-corticale e nei follicoli. Qui i linfociti che riconoscono il proprio antigene (trasportato da cellule APC dendritiche, che giungono dal vaso linfatico afferente) si fermano e vengono attivati, andando incontro a un processo proliferativo; i linfociti attivati lasciano il linfonodo dopo alcuni giorni come cellule effettrici. Quelli che invece non incontrano il proprio antigene ritornano in circolo tramite il vaso linfatico afferente.

La milza
Localizzata nell’ipocondrio sinistro, del peso di circa cento grammi; è composta da una capsula di tessuto connettivo da cui si dipartono trabecole che ne suddividono il parenchima.
Quest’ultimo è costituito da sostanza rossa e sostanza bianca: la prima è formata da un ammasso di globuli rossi che nella milza vanno incontro a eliminazione da parte di macrofagi splenici, mentre la seconda è sede di riconoscimento dell’antigene.
Qui è presente un’arteria trabecolare dalla quale origina l’arteriola centrale (ai cui lati ci sono i tessuti linfoidi peri-arteriolari, composti da linfociti T). Dall’arteriola centrale si forma il seno venoso e infine la vena. I linfociti B, con centri germinativi, formano una corona intorno all’area peri-arteriolare, detta PALS.
Una differenza tra linfonodi e milza è che in quest’ultima gli antigeni arrivano direttamente tramite il sangue e affluiscono dal sistema arteriolare, mentre nei linfonodi arrivano dai vasi linfatici.

MALT (Mucosa Associated Lymphoid Tissue).
I precursori delle cellule del sistema immunitario sono localizzati negli organi linfoidi primari e secondari. Gli organi linfoidi primari sono il midollo osseo e il timo, mentre gli organi linfoidi secondari oltre a linfonodi e la milza, sono il sistema linfoide associato alle mucose che si sviluppa sulle superficie della pelle e delle mucose intestinali, bronchiali, del naso e vasi. Il sistema linfoide associato alle mucose definito MALT (Mucosa-Associated Lymphoid Tissue) svolge un ruolo di risposta immunitaria sia umorale (mediante il rilascio di linfociti B) che cellulare (mediante il rilascio di linfociti T).
In riferimento alla loro localizzazione i tessuti MALT sono classificati:
c) BALT (bronchial-associed lymphoid tissue) tessuto linfoide associato alle mucose bronchiali;
d) LALT (larynx-associated lymphoid tissue) tessuto linfoide associato alle mu-cose della laringe.
e) GALT (gut-associed lymphoid tissue) tessuto linfoide associato all’intestino, in particolare, all’appendice ileo-cecale e placche di Peyer;
f) NALT (nose-associed lymphoid tissue) tessuto linfoide associato alle mu-cose del naso;
g) SALT (skin-associed lymphoid tissue) tessuto linfoide associato allo strato ipodermico cutaneo;
h) VALT (vascular-associed lymphoid tissue) tessuto linfoide associato ai vasi sanguigni.
Questi sistemi tissulari interagiscono continuamente con gli antigeni e modulano la risposta antigene-anticorpo, il grado di reattività della risposta costituisce la tolleranza immunitaria che varia da soggetto a soggetto.

Lume intestinale – placche di Peyer
Le placche del Peyer, localizzate tra i villi dell’intestino tenue, sono costituite da cellule epiteliali, denominate cellule M (Multifolder o micro-pliche) e da una placca formata da un centro germinativo di linfociti B circondato da linfociti T che si trovano nella sottomucosa dell’intestino tenue. Le cellule M sono specializzate nel consentire il passaggio di alcune cellule e non di altre, hanno una funzione discriminante per gli antigeni Self dai Non Self, determinando la tolleranza immunitaria. Sono una sottopopolazione del MALT (Tessuto Linfoide Associato alle Mucose) e costituiscono il 10% delle cellule della mucosa intestinale. Una peculiarità di questo tessuto linfoide è che gli antigeni che vi giungono, in condizioni alterate dell’intestino, non vengono processati (controllati) ma, possono crearsi un varco fra le cellule M.
Questa modalità di comportamento delle cellule M, durante i processi infiammatori della mucosa dell’intestino tenue, consente il passaggio di metaboliti che si riversano nel torrente ematico, provocando reattività individuali che costituiscono l’innesco delle intolleranze alimentari e ver-so sostanze chimiche. Questo comportamento è stato studiato in USA e definito col nome di LGS (Leaky Gut Syndrome).


LGS (leaky gut syndrome)
Per Leaky Gut Syndrome (Sindrome dell’intestino microperforato) s’intende un’espressione di alterata permeabilità della mucosa intestinale nei confronti di sostanze ed agenti non completamente digeriti e non riconosciuti dal sistema immunitario intestinale (MALT E GALT). In condizioni di normalità gli alimenti digeriti dai succhi acidi gastrici, pancreatici e dagli enzimi digestivi vengono trasformate in nutrienti semplici (amminoacidi, oligopeptidi, glucosio, oligosaccaridi, ecc.) riconosciuti self e convogliati verso le cellule con orletto a spazzola per diffondersi nel torrente ematico ed essere utilizzati per le funzioni organiche plastiche ed energetiche.
Un regolare funzionamento di riconoscimento e di processamento dei micronutrienti a livello intestinale, richiede un’azione sinergica tra le cellule M, le IgA, i fermenti lattici, i linfociti Th2, l’Interleuchina 10 e le condizioni generali di impermeabilità intestinale (Tight Junction).

Le Tight junction (giunzioni serrate, zonula occludens o fasci occludenti) costituiscono una cintura continua intorno alle cellule che rivestono le cavità corporee, hanno il compito di impedire il passaggio dei liquidi tra la cavità corporea e le cellule sottostanti. Sono presenti in modo particolare negli epiteli di rivestimento dell’apparato digerente, compresi gli epiteli che rivestono i dotti e le cavità del tratto digerente, costituiscono delle membrane semipermeabili responsabili del mantenimento delle differenze di concentrazioni ioniche tra i contenuti delle cavità corporee ed i tessuti circostanti. Costituiscono un sistema di collegamenti tra cellule con funzioni impermeabili e discriminanti il passaggio di sostanze nel distretto intestinale, per cui i componenti di alimenti dige-riti son convogliati e “costretti” a passare attraverso vie fisiologiche (Cellule orletto a spazzola e cellule M). Queste condizioni di virtuale im-permeabilità dell’intestino è dovuto alla sinergia tra fermenti lattici, IgA secretorie e Tight Junction.
Quando il sistema digerente funziona bene solo alcune sostanze, accuratamente selezionate, possano attraversare la mucosa dell’intestino per pinocitosi ed affluire nel flusso sanguigno. In presenza di un’infiammazione della mucosa intestinale, specialmente del tenue e del colon, si ha una diminuzione della capacità di permeabilità selettiva, di conseguenza l’alterazione della permeabilità intestinale consente ai nutrienti non completamente digeriti, tossine, batteri, funghi e parassiti, di attraversare la parete intestinale e diffondersi in circolo.
Questa alterazione è causata anche dall’alimentazione moderna che impiega cibi poveri di nutrienti essenziali (vitamine, minerali, acidi grassi) che costituiscono i fattori protettivi della mucosa intestinale, da uno squilibrio della flora batterica (disiosi) e dalla carenza di enzimi contenuti negli alimenti e prodotti dagli organi dell’apparato digerente ipofunzionanti.
Un intestino disbiotico inoltre, cioè con una flora batterica alterata e insufficiente, diventa sede di varie sostanze tossiche che sovraccaricano continuamente il sistema immunitario, il quale col tempo può perdere la sua efficienza e causare varie disfunzioni e malattie.
Per ristabilire la corretta permeabilità intestinale, è necessario ridurre i cibi eccessivamente raffinati, zucchero, alcolici, farmaci non strettamente necessari, dolciumi, caffè, fumo e introdurre più vegetali, verdura fresca e alimenti ricchi di fattori probiotici, enzimatici e nutrienti vitali.

 


Immunità umorale, cellulare e specifica
Esistono tre tipi di immunità: immunità umorale, immunità cellulare e immunità specifica.

L’immunità umorale è costituita da molecole in soluzione. Queste sono chiamate immunoglobuline o anticorpi e costituiscono il 20% delle pro-teine del sangue; fa parte della difesa immunitaria umorale anche il complemento che è rappresentato da una serie di proteine che aiutano gli anticorpi a neutralizzare i batteri e che agisce in maniera non specifica.

L’immunità cellulare è rappresentata dalle cellule intere, come i fagociti che sono in grado di ingerire e distruggere materiale estraneo; fanno parte di questa famiglia i neutrofili e i macrofagi. Uno dei ruoli fondamentali degli anticorpi consiste nel collaborare con i fagociti a riconoscere sostanze estranee. Esiste anche un tipo di cellule che presenta sulla sua superficie alcune proteine che hanno le stesse caratteristiche degli anticorpi e, inoltre, un altro tipo di cellule che secernono le linfochine, proteine con la funzione di stimolare i processi di guarigione dell’infezione. La prima risposta immunitaria dell’organismo è, per un breve periodo, non specifica. I fagociti si attivano quando incontrano un batterio, mentre le cellule che vengono infettate da un virus producono molecole che si chiamano interferoni, i quali interagiscono con recettori esposti da altre cellule e le rendono meno vulnerabili all’infezione virale.

L’immunità specifica è sviluppata dai linfociti, i quali vengono attivati sia dal contatto diretto con la sostanza patogena sia in maniera indiretta da proteine o frammenti di esse che vengono digerite e presentate sulla superficie dai macrofagi. Questo evento fa riconoscere come estranee queste risposte e il linfocita inizia la produzione di anticorpi.

L’anticorpo riconosce una parte della struttura estranea chiamata epitopo e ogni proteina ha la potenzialità di avere molti epitopi che possono essere riconosciuti dagli anticorpi. La caratteristica principale di questi ultimi è costituita dalla loro specificità; infatti il nostro organismo è capace di produrre un numero molto elevato di anticorpi diversi in grado di riconoscere altrettante strutture diverse.
La presenza di epitopi comuni di determinate proteine presenti su alimenti di diversa natura costituiscono la fonte per le cosiddette reazioni crociate (cross-reazioni) tra alimenti e allergeni di alcuni pollini (v. capitolo cross-reazioni).

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